La cantina e la sua storia
Un marchio tra storia e leggenda. Dal 1870 la famiglia Bonotto vive una storia intrisa di vero amore per il vino e di fedeltà alla propria terra.
A Rai di San Polo, vicino alla grave del Piave, si ergono le rovine di un’antica torre, il rudere diroccato di un castello le cui origini si perdono nell’alto Medioevo. Alcuni storici ritengono che venne eretto dalle popolazioni venete per proteggersi dalle incursioni degli Ungari, altri avanzano l’ipotesi che sia stato un presidio dei Templari.Intorno alla torre aleggiano memorie lontane, che hanno lasciato un’eco suggestiva nelle tradizioni popolari, come il racconto di apparizioni misteriose nelle notti di luna piena. A queste leggende, tramandate fino ad oggi dalla gente del luogo, si ispira il marchio che Bonotto ha scelto per i propri vini, simbolo di legame tra tradizione territorio.Tutto iniziò nel 1870 con il capostipite Giuseppe che trasportava i tini fino a Venezia, passando per Vincenzo, che promosse lo sviluppo dell’azienda, a Giorgio, che sviluppò la qualità del prodotto fino a Riccardo che oggi ne ha ereditato la passione, è così che la famiglia Bonotto da decenni tramanda fedeltà alla propria terra e vero amore per il vino.I Bonotto hanno trasmesso di generazione in generazione esperienza vinicola unita a valori etici come il rispetto per la tradizione, l’attenzione per l’ambiente e il profondo rispetto per il carattere del vino.L’azienda agricola Giorgio Bonotto coltiva personalmente i vitigni pregiati nella sua tenuta di 18 ettari nella pianura alluvionale nei pressi del Piave, gestisce tutti i processi di vinificazione con estrema attenzione attraverso impianti all’avanguardia per consentire ad ogni varietà di esprimere le proprie peculiarità, fra tradizione e ricerca.
Il Piave, terroir di grandi vini
Tipicità di una terra, felicità di un clima, temperamento di una gente. “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri” (Gustav Mahler).
La qualità dei vini Bonotto è indissolubilmente connessa con il particolare territorio in cui si allineano i filari delle sue viti, la grave del fiume Piave, contesto ambientale dalla caratteristiche geologiche e climatiche ideali per la viticultura.Antico alveo del fiume, le grave sono costituite da un terreno sabbioso-limoso, permeabile e accuratamente drenato, misto di ghiaia e di ciottoli, che accumulano calore durante il giorno e lo restituiscono gradualmente di notte. Il clima propizio, con il giusto dosaggio tra apporto pluviale e giornate di sole, fa di questa terra la culla di grandi vini.La sapienza di una cultura enologica profondamente assimilata esalta le caratteristiche dei vitigni autoctoni, o perfettamente ambientati, con le più raffinate e accurate tecniche di vinificazione.
La bellussera: una viticultura d'altri tempi nella terra del Piave. Un vigneto come un gigantesco alveare, un ricamo geometrico della natura, che disegna il territorio in modo quasi astratto.
Le alberate sono state l’elemento che maggiormente ha caratterizzato il paesaggio della pianura del Piave tra l’800 e gli inizi del ‘900. Dapprima maritate a diverse tipologie di specie legnose (acero campestre, susino giapponese, frassino), la vite si sviluppò con ottimi risultati legate al tronco dei Gelsi, che al contempo servivano per allevare con le loro foglie i bachi da seta, molto importanti nell’economia familiare dell’epoca.A fine Ottocento i fratelli Girolamo e Antonio Bellussi di Tezze di Piave (TV) furono i primi a piantare nel proprio podere le viti cresciute secondo questo nuovo sistema di allevamento: affinché le viti maritate con i tralci uviferi fossero fuori dall’ombra proiettata dai tutori vivi, sperimentarono una nuova forma con cordoni verticali ripiegati orizzontalmente e appoggiati a pali di legno; nasceva così la bellussera, con una disposizione delle viti a raggi attorno ad un sostegno (la maggior parte delle volte il Gelso).La bellussera rappresentò il primo sistema quasi puro di vigna, perché mentre permetteva si intensificasse la coltivazione della vite in forma espansa e specializzata, al pari lasciava invariata la possibilità di ottimizzare lo spazio coltivabile dell’interfila al fine di massimizzarne la produttività, utilizzandolo con le altre colture in piena epoca di mezzadria.Oggi il sistema creato dai fratelli Bellussi sta cedendo il passo a forme di allevamento che permettono una maggiore densità di piante per ettaro e una produzione più razionale: resta però fondamentale il contributo che ha apportato al nostro territorio in più di un secolo di storia.